di Paolo Ianna
A volte si sostengono delle posizioni conservatrici sull’uso dei tappi cosiddetti, almeno per il momento, alternativi.
Vediamo intanto in quali curiose situazioni ci possiamo trovare estraendo un tappo in sughero dal collo di una bottiglia penetrandolo con la lunga spirale dei ”cava turaccioli” detta anche “verme”. Affrontiamo poi il serissimo rituale dell’esame del nostro tappo che a seconda di quanto è rinsecchito, mezzo imbevuto, scuro o sbiancato, cavernoso o liscio e compatto, composito o tutto d’un pezzo, viene annusato con assorta concentrazione, quasi con il fiato sospeso.
Rullo di tamburi…
A questo punto il verdetto: “Sa di tappo!” e si svuota il contenuto della bottiglia nel lavello e pace all’anima sua… delle nostre aspettative e del nostro portafoglio. Oppure: “il tappo è a posto” (è andata bene) e si va avanti, tutto è normale, ma non finisce sempre così. A volte troviamo solo in alcune bottiglie e non in altre dello stesso produttore, stesso vino e stesso lotto di imbottigliamento dei difetti causati da quello che qualcuno ha ribattezzato “tappo subdolo”, il vino non è come dovrebbe essere, è spento, debole, alterato. Si ritiene che le bottiglie di vino che sanno di tappo nel senso “ortodosso” del termine, rappresentino solo una minima percentuale, forse il due o tre per cento del totale. Di altre percentuali ben più importanti si parla quando ci si riferisce ai danni causati dai tappi “subdoli”.
Per non correre più rischi a causa del sughero, neanche in percentuale modesta, vengono adottati dei materiali alternativi quali i tappi sintetici (in silicone o lattice) a volte di colori provocanti – rossi, gialli, verdi, blu e addirittura neri – in vetro, oppure a vite. Per queste due ultime tipologie non serve neppure il cavatappi, sono sufficienti le dita per aprire agevolmente le bottiglie.
Qualcuno oppone degli argomenti legati alla consuetudine per bollare come dozzinali e poco nobili i tappi a vite o più adatti a chiudere i flaconi di dopobarba, quelli di vetro. Di questo argomento si è occupato l’amico Bernardo Pasquali sulla sua rivista on line: Acino Parlante. Bernardo, Sommelier, stimato giornalista, collaboratore della guida dei vini da vitigni autoctoni Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club Italiano, ha preso parte a una degustazione in cui lo stesso vino era stato imbottigliato e tappato con silicone, sughero agglomerato e vite e la descrive in un articolo intitolato: “VITE, SUGHERO O LATTICE?”
Ne riporto, per ragioni di spazio, solo una interessante sintesi:
«Non ci si deve più scandalizzare del tappo a vite. Probabilmente in Italia è ancora tabù ma in altri paesi con meno storia enologica l’uso degli alternativi al sughero è ormai una realtà ben fondata. E il tappo a vite probabilmente per alcune tipologie di vino è da considerarsi ideale. Lo abbiamo provato durante l’incontro. Abbiamo assaggiato uno stesso vino bianco Soave tappato con i tre sistemi prima citati. Le differenze dopo sette mesi di tappatura si sentono eccome. Cambia addirittura il corredo aromatico e la percezione strutturale del prodotto. Dei tre certamente quello che ha deluso di più è stato certamente il vino tappato con il sughero agglomerato trattato con ghiaccio secco per togliere qualsiasi residuo di TCA, il tricloroanisolo, fatidico responsabile dell’odore di tappo. Il vino era un po’ spento rispetto agli altri due con una percezione olfattiva che portava ad una gamma di profumi più contenuta. Un vino quindi leggermente “sacrificato”. In bocca meno espressivo ma strutturalmente integro con una sensazione aromatica legata soprattutto al frutto e agli agrumi. Il tappo di silicone ha mantenuto una gamma di profumi più ampia ma si sono persi i sentori floreali e quelli di fine mineralità. Ben percettibili invece i profumi di fruttato e di erbe aromatiche. Ma anche in questo caso le sensazioni erano particolarmente calde, evolute, come se quel vino fosse maturato già più velocemente raggiungendo una complessazione aromatica più precoce. Il tappo a vite in effetti tra i tre è quello che è riuscito a mantenere maggiormente l’integrità del vino. Florealità e frutto mediate da una sensazione molto percepibile di erbette fini e di una mineralità delicata. Ma è al palato dove la freschezza la vigorie del vino sono più sincere. Il prodotto è decisamente più fresco e rende giustizia della sua giovinezza. Probabilmente per questo vino è la forma di tappatura più adatta. Quindi avremmo perso qualcosa se quel vino fosse stato tappato in altro modo? Dalla degustazione sembra proprio di sì!»
Per bere meglio dobbiamo liberarci di qualche inutile pregiudizio. Almeno in fatto di tappi, per cominciare…